Ogni lavoratore subordinato assume obblighi precisi nei confronti dei propri superiori gerarchici, tra cui il dovere di fedeltà, il dovere di diligenza e il dovere di obbedienza.
Quest’ultimo si pone alla base del rapporto subordinazione tra il datore di lavoro e il lavoratore, il quale, infatti, è posto alle “dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Il lavoratore si impegna nei confronti del proprio datore a eseguire la propria prestazione lavorativa. L’impegno consiste non solo nel raggiungimento di un determinato risultato, ma il Lavoratore garantisce anche la propria presenza sul luogo di lavoro e l’assoggettamento alle direttive aziendali.
Il datore di lavoro, invece, esercita il potere direttivo: è colui, quindi, che stabilisce come deve essere svolta la prestazione lavorativa.
L’insubordinazione si verifica ogniqualvolta il lavoratore viola i propri doveri di obbedienza e diligenza, mettendo in atto comportamenti consapevoli e volontari contrari alle direttive impartite dal datore di lavoro, tali da costituire violazione dell’obbligo di diligenzadi cui all’art. 2104 c.c. nonché quello più generale di correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
Il concetto di insubordinazione, infatti, va al di là del semplice rifiuto di svolgere una determinata mansione o di compiere una certa attività.
Si ritiene siano qualificabili come insubordinazione, infatti,anche tutte quelle condotte irriguardose, offensive e che sono idonee ad arrecare pregiudizio, oltre che all’immagine della Società, anche alla serenità dell’ambiente lavorativo.
Questo genere di comportamento costituisce una grave forma di inadempimento contrattuale e come tale, può essere sanzionata.
Per la Cassazione l’insubordinazione si verifica in ogni caso in cui i comportamenti posti in atto dal lavoratore pregiudichino il corretto svolgimento delle disposizioni ricevute dal dipendente nel quadro complessivo dell’organizzazione aziendale di riferimento. L’insubordinazione si verifica, dunque, anche nel caso in cui la violazione dell’obbligo avvenga non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche nei confronti di qualsiasi superiore gerarchico o collaboratore inserito nell’organigramma aziendale.
L’insubordinazione può comportare il licenziamento del lavoratore?
Scopriamolo più nel dettaglio.
Le conseguenze dell’insubordinazione
Come già accennato, l’insubordinazione si verifica nel caso in cui il lavoratore ponga in essere un comportamento contrario ai propri doveri di diligenza e obbedienza.
In forza del proprio potere disciplinare, il datore di lavoro ha la facoltà di imporre delle sanzioni al lavoratore che attua condotte contrarie ai propri doveri.
Come noto, comunque, affinché possano essere applicate le sanzioni disciplinari, il datore di lavoro deve dare avvio al procedimento disciplinare (per scoprire di più sull’argomento clicca qui).
In caso di insubordinazione, le sanzioni applicabili variano in base alla gravità dell’insubordinazione commessa. Le sanzioni disciplinari, infatti, devono essere proporzionate alla gravità della condotta negativa realizzata dal lavoratore.
Non tutti le condotte di insubordinazione, infatti, hanno la medesima gravità: la gravità dell’insubordinazione è tanto più grave quanto maggiormente viene leso il rapporto fiduciario tra il lavoratore e il datore di lavoro, al punto da non consentire la prosecuzione del rapporto.
Passiamo ora alle sanzioni applicabili. Le conseguenze sanzionatorie possono essere, a seconda della gravità dei casi:
- Il rimprovero verbale;
- Il rimprovero scritto;
- La multa;
- La sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni;
- Licenziamento per giustificato motivo soggettivo;
- Licenziamento per giusta causa (per conoscere di più sull’argomento clicca qui).
I contratti collettivi spesso prevedono, in via esemplificativa, le condotte di insubordinazione per le quali il datore di lavoro può procedere con l’irrogazione delle sanzioni conservative (multa, sospensione) o, nei casi più gravi, del licenziamento con o senza preavviso.
Insubordinazione e comportamento sui social
In una recente sentenza la Corte di Cassazione[1] ha confermato il licenziamento nei confronti di un lavoratore che aveva tenuto un “comportamento gravemente offensivo e sprezzante nei confronti dei suoi diretti superiori e dell’organizzazione aziendale”. Tale comportamento si realizzava sia tramite l’invio di e-mail, che mediante la pubblicazione di post su Facebook.
Da questa sentenza, dunque, si evince che l’insubordinazione si realizza anche nel caso di pubblicazione di contenuti sui social network da parte del Lavoratore, tali da risultare denigratori e/o minacciosi nei confronti dell’azienda o dei superiori del lavoratore. Anzi, nel caso della diffamazione aziendale sui social network la Cassazione afferma che l’insubordinazione assume una gravità maggiore, poiché diventa pubblica e legittima il licenziamento per giusta causa del Lavoratore.
Hai qualche problema in materia di insubordinazione?
[1] Corte Cassazione, 27939/2021