La normativa in materia di malattie professionali si rinviene all’art. 3 e all’art. 221 del T.U. delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 e ss.mm.ii., così come integrato dal D.lgs. n.38/2000.

Si definisce Malattia Professionale quella patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull’organismo. Non è quindi presente, a differenza di quanto avviene per l’infortunio, la causa violenta e concentrata nel tempo. La causa deve, infatti, essere diretta ed efficiente, oltre che produrre infermità in modo esclusivo e prevalente. Inoltre, un’ulteriore differenza con gli infortuni prevede che non basta l’occasione di lavoro, ma deve sussistere un rapporto causale o concausale diretto tra il rischio professionale e la malattia. (per conoscere di più sull’infortunio clicca qui)

Le malattie professionali possono essere tabellate e non tabellate. Si considerano “tabellate” quelle:

  • Indicate all’interno delle due tabelle allegate al T.U. (una per l’industria e una per l’agricoltura);
  • Provocate da lavorazioni indicate nelle tabelle stesse;
  • Denunciate entro un determinato periodo dalla cessazione dell’attività rischiosa, indicato nelle tabelle.

Nel caso in cui la malattia professionale sia indicata all’interno della tabella, il lavoratore non deve dimostrare l’origine professionale della malattia: vige, infatti, la c.d. presunzione legale d’origine, che può essere superata soltanto dalla prova, posta in capo all’INAIL, che la malattia contratta dal lavoratore sia determinata da cause extraprofessionali.

Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988, il nostro Ordinamento ha aperto le porte anche al riconoscimento delle malattie professionali c.d. “non tabellate”, introducendo così  il c.d. “sistema misto”, che concede la possibilità affinchè il lavoratore dimostri che la malattia professionale non tabellata è originata dalla svolgimento della propria attività professionale.

L’INAIL indennizza i danni provocati dalle malattie professionali con prestazioni di carattere economico, sanitario e riabilitativo.

ELEMENTI NECESSARI PER DEFINIRE LA MALATTIA PROFESSIONALE

La tutela prevista per la malattia professionale è la stessa prevista in caso di infortunio sul lavoro.

È prevista, infatti, un’indennità temporanea con la quale l’INAIL corrisponde al lavoratore a partire dal quarto giorno successivo all’accertamento della malattia un’indennità calcolata sulla base della retribuzione giornaliera, corrispondente al 60% della retribuzione media fino al 90° giorno e il 75% della retribuzione media a partire dal 91° giorno, fino alla guarigione clinica.

Nel caso di inabilità permanente per le menomazioni che vanno dal 6% al 15%, l’INAIL corrisponde al lavoratore un indennizzo in capitale.

E’ prevista, invece, la corresponsione di un indennizzo in rendita nei confronti dei lavoratori sottoposti a postumi di grado compreso tra il 16% e il 100%.

A differenza dell’infortunio sul lavoro, la malattia professionale può essere oggetto di Revisione da parte dell’Istituto o, su richiesta, da parte del lavoratore, per 15 anni dalla sua insorgenza.

LA PROCEDURA DI ACCERTAMENTO DELLA MALATTIA PROFESSIONALE

Nel caso di sospetta malattia professionale, il Lavoratore dovrà rivolgersi al proprio medico di famiglia oppure all’Ausl, dipartimento medicina del lavoro. Una volta accertata la sussistenza della malattia, il medico predispone e consegna al lavoratore il certificato di malattia professionale. Il lavoratore ha 15 giorni di tempo per consegnare il certificato al proprio datore di lavoro, il quale ha il termine massimo di 5 giorni per effettuare la comunicazione all’INAIL dell’avvenuta ricezione della denuncia della malattia professionale.

Anche il lavoratore autonomo può presentare la denuncia di malattia professionale. In tal caso, non essendoci alcun datore di lavoro, è lo stesso lavoratore autonomo che dovrà presentare la denuncia all’INAIL competente.

Il lavoratore viene poi convocato presso la sede INAIL di competenza territoriale per essere sottoposto a visita medica che ne certifichi, o meno, la malattia professionale.

Nel caso in cui l’INAIL non riconosca la sussistenza di una malattia professionale, il Lavoratore ha diritto di presentare, oltre ad una richiesta di Collegiale Medica, un ricorso giudiziale, entro il termine di 3 anni.

ALCUNI CASI DI MALATTIE PROFESSIONALI

SILICOSI E ASBESTOSI

Tra le malattie professionali più gravi si riscontrano la silicosi e l’asbestosi, entrambe patologie a carico dell’apparato respiratorio.

La silicosi è una fibrosi polmonare derivata dall’inalazione perpetuata nel tempo di polvere di biossido di silicio allo stato libero.

Per quanto riguarda l’asbestosi, invece, si tratta sempre una fibrosi polmonare, provocata però dall’inalazione di fibre di amianto.

Affinché vengano riconosciute come malattie professionali, devono essere contratte nell’esercizio delle lavorazioni indicate nell’apposita tabella allegato n. 8 al Testo Unico; a differenza di quanto disposto per le altre malattie professionali, non è richiesto che queste patologie siano contratte a causa delle lavorazioni esercitate in quanto si tratta di malattie tipiche delle lavorazioni stesse.

La tutela in materia si estende, infatti, non solo nei confronti delle lavorazioni che producono e disperdono nell’aria amianto, ma anche nei confronti di attività che prevedono l’utilizzo o il contatto con prodotti che lo contengono.

Non è previsto, per la denuncia, un termine massimo di indennizzabilità dalla data di cessazione dell’attività rischiosa.

È previsto nei confronti dei lavoratori vittime di queste malattie professionali un assegno giornaliero in misura corrispondente all’indennità prevista per inabilità temporanea assoluta, dal momento che gli stessi si ritrovano obbligati ad astenersi dall’attività lavorativa per sottoporsi alle cure e agli accertamenti diagnostici.

MOBBING

Il mobbing è una pratica sempre più diffusa e che si riscontra con sempre più frequenza all’interno dei luoghi di lavoro.

Il termine deriva dal verbo inglese to mob la cui traduzione è  “assalire”, “attaccare”.

Esso consiste in una serie di atteggiamenti illeciti o leciti se presi singolarmente, posti in essere nei confronti di un lavoratore a fini vessatori. Gli atteggiamenti in questione sono di carattere sistematico e prolungato nel tempo. Affinché le condotte vessatorie possano essere categorizzate come mobbing occorre, inoltre, che sia presente un evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente, oltre che la presenza del nesso eziologico tra le condotte stesse e il pregiudizio subito dalla vittima. È fondamentale, inoltre, la presenza dell’elemento soggettivo, che consiste nell’intento persecutorio che unisce tutti i comportamenti lesivi. Il mobbing può essere distinto in:

-verticale o bossing: in questo caso l’atteggiamento vessatorio è posto in essere da un superiore nei confronti di un dipendente (mobbing discendente) o da un gruppo di dipendenti ad un superiore (mobbing ascendente).

-orizzontale: le condotte vessatorie si verificano tra lavoratori posti sullo stesso grado.

-collettivo: tipologia di mobbing che si realizza nei confronti di un intero gruppo di persone.

Il mobbing corrisponde ad una serie di comportamenti reiterati nel tempo, per questo viene classificato come malattia professionale.

STRESS LAVORATIVO CORRELATO

Lo stress da lavoro correlato viene definito come “uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali, che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. L’individuo è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine, ma di fronte ad una esposizione prolungata a forti pressioni, egli avverte grosse difficoltà di reazione. Inoltre, persone diverse possono reagire in modo diverso a situazioni simili e la stessa persona può, in momenti diversi della propria vita, reagire in maniera diversa a situazioni simili”. [1]

In questi casi lo stress prolungato può diventare una vera e propria malattia professionale. Questa tipologia di malattia non è tabellata: l’onere della prova spetta, dunque, al lavoratore, che deve provare la causa lavorativa ed il nesso causale, oltre che la lesione dell’integrità psico-fisica e la quantificazione in termini medico legali.

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[1] Accordo europeo dell’8 ottobre 2004.