Il lavoratore licenziato che ritiene il provvedimento illegittimo deve necessariamente impugnarlo. La disciplina in materia di impugnazione del licenziamento è contenuta innanzitutto all’art. 6 della Legge 604/1966, così come modificato dall’art. 32 della Legge 183/2010.

L’impugnazione del licenziamento deve essere realizzata necessariamente mediante atto scritto giudiziale o stragiudiziale: è sufficiente, infatti, che il lavoratore manifesti per iscritto e nel rispetto dei termini la volontà di opporsi al licenziamento intimato dal datore di lavoro. Essa può essere comunicata al datore di lavoro tramite qualsiasi mezzo idoneo a garantire la forma scritta, quali lettere, raccomandate, telegrammi o fax.

Ad ogni modo, affinché possa produrre i suoi effetti, l’impugnazione di licenziamento deve giungere a conoscenza del datore di lavoro entro il termine di decadenza.

È stabilito dall’art. 6 della Legge 604/1966 che l’impugnazione del licenziamento può essere realizzata anche tramite l’intervento dell’organizzazione sindacale a cui il lavoratore aderisce.

Il contenuto della lettera di impugnazione

Per quanto riguarda il contenuto dell’atto, dottrine e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che non devono essere necessariamente esposti tutti i motivi sui quali si fonda l’asserita illegittimità del licenziamento, essendo sufficiente il Lavoratore rappresenti chiaramente la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento.

L’impugnazione può essere eseguita personalmente dal Lavoratore, oppure per il tramite dell’associazione sindacale cui il lavoratore aderisce, ciò  in forza del potere di rappresentanza previsto dall’art. 6, L. n. 604/1966, o da un rappresentante del lavoratore, come può essere un avvocato.

In tal caso, comunque, la lettera di impugnazione di licenziamento deve necessariamente essere sottoscritta personalmente dal Lavoratore oppure lo stesso deve aver preventivamente conferito procura scritta ex art. 1392 c.c. al rappresentante, avente data certa anteriore alla scadenza del termine di 60 giorni.

L’impugnazione del licenziamento effettuata da un rappresentante privo di procura può essere ratificata dal lavoratore con atto scritto, che, tuttavia, deve essere trasmesso al al datore di lavoro entro il termine di decadenza di 60 giorni.

I termini e le modalità dell’impugnazione del licenziamento

I termini per esercitare l’impugnazione del licenziamento sono disciplinati dalla legge Legge 604/1966 e sono perentori: una volta scaduti, infatti, il lavoratore decade dal diritto di contestare la legittimità del licenziamento e ricevere conseguentemente l’eventuale risarcimento del danno.

La normativa in materia di impugnazione del licenziamento prevede il rispetto di un duplice termine:

  1. L’impugnazione del licenziamento deve avvenire, a pena di decadenza, per iscritto, nel termine di 60 giorni dalla data della comunicazione del provvedimento espulsivo o dalla successiva data di comunicazione dei motivi. Il termine di 60 giorni è stato introdotto dall’art. 32 della Legge 183/2010 (il c.d. Collegato lavoro).

Riguardo al caso specifico della contestazione inviata tramite raccomandata, la giurisprudenza (Cass. Sez. Un. 8830/10) ha stabilito che affinché l’impugnazione sia efficace, è sufficiente che la raccomandata venga spedita entro i termini, risultando irrilevante il fatto che la raccomandata pervenga al datore di lavoro oltre i termini.

  • La legge 183/2010 ha introdotto modifiche anche ai termini entro i quali il lavoratore può proporre il ricorso giudiziale contro l’atto di licenziamento. La normativa prevede che il termine entro il quale è possibile depositare il ricorso o comunicare al datore di lavoro la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato è di 180 giorni, che decorrono dal giorno in cui è stata presentata l’impugnazione. Nella circostanza in cui entro il suddetto termine non venga depositato ricorso giudiziale, l’impugnazione stragiudiziale diviene inefficace.

Per quanto riguarda la richiesta di conciliazione o arbitrato proposta dal lavoratore, se queste non vengono accettate o non viene trovato un accordo, il lavoratore ha 60 giorni di tempo dal momento della mancata accettazione o del mancato accordo per depositare ricorso in tribunale.

Si precisa che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 212/2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, della L. 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di 180 giorni, oltre che dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale o dalla richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, anche dal deposito del ricorso cautelare anteriore alla causa ai sensi degli artt. 669-bis, 669-ter e 700 c.p.c.

Come già anticipato, i termini predisposti dalla legge sono perentori e non sono suscettibili di interruzioni o sospensioni: qualora il lavoratore non rispetti i termini di 60 e 180 giorni decade.

Il termine di decadenza di 60 giorni non si applica al licenziamento comunicato in forma orale in quanto ritenuto inesistente.

La revoca del licenziamento

Il datore di lavoro ha la facoltà di revocare il licenziamento comunicato al dipendente, purché lo comunichi al lavoratore per scritto entro 15 giorni decorrenti dal ricevimento della comunicazione di licenziamento. Il Lavoratore non deve accettare la revoca e il rapporto di lavoro viene ripristinato senza soluzione di continuità.

Possibilità dell’offerta di conciliazione entro il termine per proporre impugnazione del licenziamento

Come abbiamo già avuto modo di approfondire nell’articolo (….) nell’ipotesi di Lavoratori  assunti a partire dal 7 marzo 2015, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, in una delle sedi di conciliazione un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio in misura comunque non inferiore a tre e non superiore a ventisette mensilità, (importo che si dimezza e non può superare le 6 mensilità nelle aziende che non superano i 15 dipendenti),  mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.

L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

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