La disciplina e la nozione stessa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo si rinvengono nell’art. 3 Legge 604/1966.

Secondo quanto disposto dalla normativa di riferimento, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Fanno parte di questa tipologia di licenziamento, quindi, tutte quelle fattispecie che riguardano l’attività di impresa e la sua organizzazione produttiva, a differenza del c.d. licenziamento per giustificato motivo soggettivo, alla base del quale si rinviene, invece, un inadempimento o una condotta scorretta del lavoratore stesso.

Dottrina e giurisprudenza hanno per lungo tempo posto al centro dei propri dibattiti la questione di quali possano essere considerate le ragioni legittime da porre a fondamento di un legittimo licenziamento per g.m.o.

Secondo un primo indirizzo dottrinale risalente, infatti, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo doveva essere inteso come extrema ratio e non poteva essere utilizzato per raggiungere un mero incremento di profitto. Una riorganizzazione aziendale posta in essere per aumentare i ricavi aziendali, era dunque vista come una motivazione illegittima al licenziamento.

L’orientamento dottrinale e giurisprudenziale più recente, invece, in modo diametralmente opposto al primo, dispone che le ragioni poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, inerenti all’attività produttiva, possono concernere anche “riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali, qualsiasi ne siano le finalità e, quindi, comprese quelle dirette al risparmio dei costi o all’incremento dei profitti.”

Il datore di lavoro ha, quindi, la facoltà di disporre e di gestire i livelli occupazionali all’interno della propria attività lavorativa, al fine di perseguire il raggiungimento degli utili.

Il principio posto alla base di questo orientamento discende dall’art. 41 della Costituzione, nel quale è stabilito che “l’iniziativa economica è libera”.

In questo senso, prevale l’interesse del datore di lavoro all’eliminazione di risorse non più funzionali, rispetto a quello del lavoratore alla conservazione del proprio posto di lavoro.

Non è, quindi, necessaria la sussistenza di una c.d. crisi di impresa affinché un licenziamento per giustificato motivo oggettivo risulti legittimo, ma è sufficiente che il licenziamento sia in linea con la decisione del datore di lavoro di sopprimere una o più posizioni lavorative, al fine di realizzare una riorganizzazione aziendale (a questo proposito la giurisprudenza si è espressa nelle sentenze Corte di Cassazione n. 4946 del 20 febbraio 2019, Corte di Cassazione 29 ottobre 2018 n. 27380, Corte di Cassazione 24 maggio 2015 n. 13015).

Le condizioni che devono, comunque, sussistere perché il licenziamento per g.m.o. sia ritenuto legittimo sono tre: 1) l’effettività e la sussistenza delle esigenze aziendali richiamate nella motivazione della lettera di licenziamento; 2) il nesso eziologico tra le suddette esigenze aziendali e la soppressione della specifica posizione lavorativa; 3) l’impossibilità di ricollocare proficuamente il dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, attribuendogli mansioni diverse, anche inferiori, (cd. obbligo di repechage o ripescaggio).

Prima di licenziare, infatti, il datore di lavoro deve analizzare la situazione della propria impresa, cercando di capire se non esistano mansioni “scoperte” da affidare al dipendente che è potenziale destinatario del recesso.

Le scelte di organizzazione del datore di lavoro non sono sindacabili da parte del giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del licenziamento, dovendo egli limitarsi ad accertarne la mera effettività e sussistenza.

L’onere di provare la sussistenza dei requisiti sopra citati ricade in capo al datore di lavoro, nonostante si ritenga che, con riferimento all’obbligo di ripescaggio, il Lavoratore abbia un onere di allegazione che consiste nell’ indicare l’esistenza di alternativi posti di lavoro nei quali egli avrebbe potuto essere collocato.

QUAL È LA PROCEDURA DI LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO CHE IL DATORE DI LAVORO DEVE SEGUIRE?

La procedura di licenziamento per g.m.o. si differenzia a seconda del numero dei dipendenti dell’azienda e in base alla data di assunzione del dipendente interessato dal licenziamento. La procedura deve, in ogni caso, prendere avvio tramite comunicazione scritta al lavoratore.

Attività con più di 15 dipendenti e/o dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015:

Nel caso di attività con più di 15 dipendenti – con contratto full time e calcolati sulla base della normale occupazione negli ultimi 6 mesi – e dei dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, ovvero prima dell’inizio dell’applicazione del c.d. Jobs Act, trova applicazione la disciplina prevista dall’art. 7 della Legge 15 luglio 1966 n. 604.

Detta disciplina, dispone che per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sia previsto l’invio di una lettera di licenziamento da parte del datore di lavoro all’Ispettorato territoriale del lavoro del luogo in cui il lavoratore svolge la propria attività lavorativa. La lettera di licenziamento deve essere, inoltre, trasmessa per conoscenza al lavoratore.

Il datore di lavoro deve riportare nella lettera la propria intenzione di procedere al licenziamento, oltre che i motivi alla base dello stesso e alle eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.

L’Ispettorato territoriale del lavoro deve, poi, entro 7 giorni dalla ricezione della lettera, trasmettere al lavoratore e al datore di lavoro la convocazione per effettuare un tentativo di risoluzione bonaria della controversia presso la Commissione provinciale di conciliazione.

La procedura deve concludersi entro 20 giorni dal momento in cui l’Ispettorato territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro di conciliazione.

Trascorso questo termine o nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore.

Gli effetti del licenziamento retroagiscono al giorno di ricezione da parte dell’Ispettorato della comunicazione da parte del datore di lavoro.

Attività con meno di 15 dipendenti e/o dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015

In questo caso, la disciplina che si applica ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo è differente rispetto a quella sopra descritta.

A queste categorie di lavoratori non viene, infatti, applicata la procedura di cui all’art. 7 della Legge 15 luglio 1966 n. 604. Il licenziamento avviene mediante la semplice consegna o invio della lettera di licenziamento al lavoratore.

COSA ACCADE SE IL LICENZIAMENTO PER G.M.O. È ILLEGITTIMO?

IL REGIME SANZIONATORIO

Per quanto riguarda il regime sanzionatorio del licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo, la disciplina in materia si suddivide in base ai requisiti dimensionali dell’impresa, fissati dall’art. 18 Legge 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) e sulla base della data di assunzione del lavoratore, a seconda che essa sia avvenuta prima o dopo il 7 marzo 2015.

Lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015:

Il regime sanzionatorio applicato al licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 è disciplinato dall’art. 18 Legge 300/1970. Le sanzioni si diversificano sulla base delle soglie dimensionali previste dall’art. 18 stesso.

  1. Lavoratori assunti presso un datore di lavoro con meno di 15 dipendenti alle proprie dipendenze: il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro a riassumere il lavoratore entro il termine di 3 giorni, oppure al versamento di un’indennità tra un minimo di 2,5 a un massimo di 6 mensilità, a prescindere dal vizio individuato.
  2. Lavoratori assunti presso un datore di lavoro con più di 15 dipendenti alle proprie dipendenze: anche in questo caso le conseguenze sanzionatorie sono disciplinate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dalla Legge 92/2012, la c.d. Legge Fornero.

La norma prevede un sistema di tutele graduali:

  • TUTELA REALE ATTENUATA: si realizza nelle fattispecie di insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento. Il Giudice può reintegrare il Lavoratore e condannare l’azienda a corrispondere un indennizzo commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto fino ad un massimo di 12 mensilità, insieme al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo che va dal giorno del licenziamento, sino a quello della reintegrazione.

La tutela reale attenuata è applicata anche alle fattispecie di licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimate nel periodo di comporto e per giustificato motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore.

  • TUTELA OBBLIGATORIA STANDARD: si applica a tutti i casi in cui non ricorrano gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In questi casi il datore di lavoro è sottoposto alla condanna di pagamento nei confronti del lavoratore illegittimamente licenziato ad un’indennità risarcitoria che va da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, calcolate dal giudice sulla base dell’anzianità del lavoratore, del numero di dipendenti, della dimensione dell’attività economica e del comportamento e condizioni delle parti.
  • TUTELA OBBLIGATORIA RIDOTTA: si applica nei casi di violazione dell’obbligo di motivazione del licenziamento o di violazione della procedura di conciliazione dinnanzi all’Ispettorato territoriale del lavoro. In questi casi il giudice dichiara l’inefficacia del licenziamento e condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità che varia da un minimo di 6 a un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto, in base alla gravità della violazione formale o procedurale posta in essere dal datore di lavoro.

Lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015:

Anche in questo caso occorre sempre fare una distinzione tra lavoratori licenziati da imprese con più di 15 dipendenti o con meno di 15 dipendenti.

  1. Lavoratori licenziati da imprese con più di 15 dipendenti:

Nel caso in cui venga superata la soglia dimensionale dei 15 dipendenti, è prevista la reintegrazione del lavoratore nel solo caso in cui il giudice accerti “il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore” oppure il licenziamento sia discriminatorio o ritorsivo o qualora ricorrano i casi di nullità previsti dalle legge (in costanza di divieto per maternità, in congedo matrimoniale, etc.) . È prevista inoltre la condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. In questo caso il datore di lavoro è condannato al versamento di un’indennità risarcitoria commisurata sulla base dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, dalla quale occorre detrarre l’aliunde percepitum, ovvero quanto già guadagnato dal lavoratore da altre eventuali attività lavorative. L’indennità prevede un minimo di 5 mensilità.

Come alternativa alla reintegrazione, il lavoratore ha la possibilità di richiedere un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR, insieme al risarcimento del danno.

L’indennità non è assoggettata a contribuzione previdenziale.

In tutti gli altri casi che esulano da queste ipotesi, nel caso in cui si verifichi un licenziamento per giustificato motivo illegittimo, la tutela sarà semplicemente risarcitoria: il rapporto si estingue e al lavoratore spetta un’indennità tra le 6 e le 36 mensilità, 2 per ogni anno di servizio.

Il Decreto legislativo 23/2015 (c.d. Jobs Act) non prevede la procedura preventiva di cui all’art. 7 Legge 604 del 1966, modificata dalla Riforma Fornero nel 2012.

  • Lavoratori licenziati da di imprese con meno di 15 dipendenti:

La disciplina applicata in questi casi si rinviene all’art. 9 del Decreto legislativo 23/2015. Fatte salve le fattispecie di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato per ragioni di disabilità confermata in giudizio per cui è prevista la reintegra, è prevista la medesima tutela riservata ai lavoratori di imprese con più di 15 dipendenti, ma la tutela economica risulta dimezzata, con un limite massimo di 6 e un minimo di 3 mensilità. L’indennizzo economico non è assoggettato a contribuzione previdenziale. L’indennizzo è ulteriormente dimezzato nel caso in cui il licenziamento risulti illegittimo per violazione del requisito di motivazione: in questi casi l’indennità va da un minimo di una sino a un massimo di sei mensilità, senza previsione di contribuzione previdenziale.

GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE RISCRIVONO LE REGOLE DELLA TUTELA PER L’ILLEGITTIMO LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

Come noto, con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, nella parte in cui non prevedeva la reintegrazione – nel caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo – solo in ipotesi di “manifesta insussistenza” del motivo addotto.

Ricordiamo che la norma riconosceva, invece, esclusivamente la tutela economica (da 12 a 24 mensilità) nei casi “meno eclatanti” di licenziamento sorretto da illegittimo motivo oggettivo, per l’appunto “non manifesto“. La Corte si è quindi soffermata su questa diversità di tutela, rilevandone l’illogicità sotto diversi profili.

La Corte, infatti, ha evidenziato l’irragionevolezza dell’art. 18, nella parte oggetto di esame, poiché la necessità di effettuare una distinzione tra motivo oggettivo, manifesto e non, comporta inevitabili incertezze applicative.

Ulteriore profilo di irragionevolezza è stato rinvenuto nella parte in cui l’art. 18, tutelando il lavoratore con la reintegrazione nei soli casi di motivo illegittimo “manifesto“, provoca una sorta di parziale inversione dell’onere della prova, costringendo il lavoratore a dimostrare, o quanto meno argomentare, la gravità del vizio.

Gli interventi della Corte Costituzionale (la sentenza n. 59/2021 e la sentenza n. 125/2022) hanno modificato profondamente il sistema di tutele previste dal Job Act.

Come sopra riportato, licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo prevedeva la reintegrazione solo come ipotesi di fatto residuale, prevista a discrezione del Giudice e solo in caso di manifesta insussistenza e di vizio evidente del licenziamento. In tutti gli altri casi, come regola generale, era invece prevista la tutela economica standard o ridotta. La Corte ha invece fatto diventare la reintegrazione la tutela normale in caso di licenziamento individuale per ragioni oggettive, e residuale la tutela indennitaria.

L’OFFERTA CONCILIATIVA

Come abbiamo già avuto modo di trattare nellarticolo dedicato all’impugnazione del licenziamento, il decreto legislativo 23/2015 prevede l’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro per definire in via conciliativa un licenziamento ritenuto illegittimo.

In particolare, l’art. 6 del decreto stabilisce che, in caso di licenziamento, il datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), può convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative e offrirgli un assegno circolare di importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 3 mensilità e non superiore a 27 mensilità, non è assoggettato a contribuzione previdenziale.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO E NASPI

Il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo ha diritto a percepire l’indennità di disoccupazione NASPI, nel caso in cui sussistano i requisiti contributivi minimi.

Hai bisogno di aiuto in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo?