Quando si può realmente parlare di licenziamento per giusta causa?
L’art. 2119 c.c. dà una definizione di recesso per giusta causa: è stabilito, infatti, che le parti – datore di lavoro e lavoratore – possano recedere dal contratto di lavoro prima della scadenza del termine nel caso in cui si tratti di contratto a tempo determinato; o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Per stabilire, pertanto, se un licenziamento è sorretto da giusta causa occorre comprendere se il fatto posto a base del provvedimento espulsivo non consente neppure provvisoriamente la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Innanzitutto, occorre precisare che per procedere ad irrogare il licenziamento per giusta causa è necessario iniziare un procedimento disciplinare.
Il licenziamento per giusta causa, infatti, è una vera e propria sanzione disciplinare: per questo motivo è obbligatorio attivare il procedimento disciplinare previsto dall’art. 7 del c.d. Statuto dei lavoratori, seguendo le fasi di contestazione dell’infrazione, eventuale difesa del lavoratore e irrogazione della sanzione (sull’argomento puoi trovare maggiori informazioni cliccando qui).
Tornando al concetto di giusta causa di licenziamento, la Corte di Cassazione ne dà alcune definizioni, stabilendo che essa sussista nel caso in cui “la mancanza del lavoratore si presenti di tale gravità da fare venir meno l’elemento fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti nel rapporto di lavoro e da rendere ogni altra sanzione inidonea a tutelare l’interesse del datore di lavoro”[1] e che il comportamento messo in atto dal lavoratore deve essere di una gravità tale per cui “egli risulti inidoneo a qualsiasi altra mansione compatibile con la sua qualifica”[2].
La dottrina, inoltre, stabilisce che la giusta causa non si presenti solo nel caso di notevoli inadempimenti contrattuali, ma che possa trattarsi anche di comportamenti estranei alla sfera del contratto, purché idonei a minare la fiducia alla base del rapporto di lavoro. Generalmente i contratti collettivi prevedono una serie di fatti e ipotesi che costituiscono causa di licenziamento. Ad ogni modo, il licenziamento per giusta causa non può essere irrogato quando il provvedimento costituisca una sanzione più grave rispetto a quella individuata dal CCNL in relazione a una determinata infrazione.
LE TUTELE NEL CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
Vediamo ora cosa accade nella circostanza in cui il licenziamento per giusta causa comunicato dal Datore di Lavoro risulti illegittimo.
Può accadere, infatti, che la giusta causa posta a base del licenziamento risulti essere insussistente e di conseguenza il licenziamento diviene illegittimo. In questi casi la legge pone in capo al lavoratore alcune tutele. Le tutele sono differenti a seconda che il dipendente sia stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Decreto legislativo n. 23/2015 in tema di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, attuativo della Legge delega 183 del 2014.
LA TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DI UN LAVORATORE ASSUNTO PRIMA DEL 7 MARZO 2015
Nel caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 viene applicata la normativa contenuta all’interno dell’art. 18 della Legge 300/1990 (il c.d. Statuto dei lavoratori), come modificato dalla Legge 92/2012 di Riforma del mercato del lavoro e dall’art. 8 della Legge 604/1966, come sostituito dall’art. 2 della Legge 108/1990.
Occorre innanzitutto fare una distinzione tra:
- Tutele per il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di un’impresa che ha fino a 15 dipendenti o meno di 5 nel caso di impresa agricola:
nel caso in cui il licenziamento del lavoratore risulti illegittimo e l’azienda abbia meno di 15 dipendenti , il giudice procede con l’annullamento del licenziamento e condanna il datore di lavoro a riassumere il dipendente a prescindere dal vizio individuato nel termine di 3 giorni; o, in mancanza, condanna il datore di lavoro a versare al lavoratore un indennizzo, la cui mensilità viene determinata tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità – tenendo conto del numero di dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del lavoratore e del comportamento e condizione delle parti;
- Tutele per il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di un’impresa che ha più di 15 dipendenti o di un’impresa agricola con più di 5 dipendenti:
nel caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto in un’impresa con più di 15 dipendenti, le conseguenze sanzionatorie sono disciplinate dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, così come modificato dalla Legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro.
L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori effettua un’ulteriore distinzione tra le tutele a seconda del vizio ad oggetto del licenziamento:
- Se il giudice attesta che non sono rinvenibili gli estremi della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa, il giudice procede con la reintegrazione del lavoratore all’interno del proprio posto di lavoro e alla corresponsione di un indennizzo commisurato sulla base della retribuzione globale di fatto, fino ad un massimo di 12 mensilità. E’ previsto, inoltre, il versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo intercorrente tra il licenziamento e la reintegrazione. In questo modo il giudice applica la c.d. tutela reale attenuata;
- In tutti gli altri casi nei quali non si rinvengano gli estremi della giusta causa, trova applicazione da parte del giudice la c.d. tutela obbligatoria forte, che prevede la dichiarazione di risoluzione del rapporto di lavoro oltre alla condanna del datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura compresa tra le 12 e le 24 mensilità della retribuzione globale di fatto, tenendo conto dell’anzianità del lavoratore, del numero di dipendenti, dalla dimensione dell’attività economica e del comportamento e condizione delle parti
L’art. 18 della Legge 300/1970 stabilisce anche la disciplina da applicare nel caso in cui non sia rispettata la procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, essendo il licenziamento per giusta causa una vera e propria misura disciplinare sottoposta alla normativa del procedimento disciplinare (per approfondire l’argomento clicca qui). L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori stabilisce, infatti, che nel caso di mancato rispetto della procedura prevista dall’art. 7 del medesimo Statuto, il licenziamento debba essere dichiarato inefficace. Il giudice applica in questo modo la c.d. tutela obbligatoria ridotta, condannando il datore al pagamento di un’indennità risarcitoria, compresa tra le 6 e le 12 mensilità.
LA TUTELA IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DI UN LAVORATORE ASSUNTO DOPO IL 7 MARZO 2015
Con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 23/2015 – il c.d. Jobs Act –, così come modificato dal D.L. n. 87/2018, la tutela in caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015 ha subito profondi cambiamenti rispetto a quelle antecedente.
Il Jobs Act distingue nuovamente le tutele sulla base delle soglie numeriche fissate dall’art. 18 della Legge 300/1970.
- Tutele per il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di un’impresa fino a 15 dipendenti o meno di 5 nel caso di impresa agricola:
Nel caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore impiegato in un’impresa con meno di 15 dipendenti, l’art. 9 del Jobs Act stabilisce l’applicazione della medesima disciplina applicata ai dipendenti assunti all’interno di imprese che superano le soglie previste dall’art. 18 Legge 30/1970, con alcune esclusioni:
- È esclusa la reintegrazione del lavoratore all’interno dell’impresa nel caso in cui il licenziamento disciplinare venga dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale;
- L’indennizzo economico riservato al lavoratore risulta dimezzato, essendo lo stesso pari a una mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 3 fino ad un massimo di 6 mensilità. Non è prevista, inoltre, la corresponsione dei contributi previdenziali.
- Risulta ulteriormente dimezzata anche l’indennità corrisposta al lavoratore nel caso di licenziamento illegittimo per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300/1970: l’indennizzo economico corrisponde, infatti, a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di una mensilità e un massimo di 6. Sono esclusi dall’indennità i contributi previdenziali.
- Tutele per il licenziamento di un lavoratore nell’ambito di un’impresa con più di 15 dipendenti o più di 5 nel caso di impresa agricola:
Nel caso di licenziamento illegittimo di un lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015 in un’azienda con più di 15 dipendenti occorre necessariamente dimostrare direttamente in giudizio l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore al fine di ottenere la reintegrazione del lavoratore. Deve comunque rimanere esclusa “ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.
In questo caso il datore di lavoro viene condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e il dipendente ha diritto a percepire un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR e corrispondente al periodo dal licenziamento fino alla reintegrazione. L’indennità può arrivare ad un massimo di 12 mensilità. Da tale indennità va dedotto sia quanto il lavoratore ha eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum),
In tutti gli altri casi in cui, nonostante non venga dimostrata direttamente in giudizio l’insussistenza del fatto contestato, il licenziamento per giusta causa dovesse risultare illegittimo, il rapporto si estingue. Il lavoratore ha diritto unicamente ad un’indennità che può essere compresa tra le 6 alle 36 mensilità.
Anche la normativa del Jobs Act prevede un indennizzo economico al lavoratore nel caso in cui il licenziamento risulti illegittimo per violazione dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. In questo caso, però, l’indennità è dimezzata rispetto a quella prevista dalla normativa applicata ai dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015: si tratta, infatti, di un’indennità corrispondente a una mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 fino ad un massimo di 12 mensilità.
- Offerta di conciliazione:
Tra le novità del Decreto legislativo 23/2015 vi è l’introduzione di una procedura conciliativa, che consiste nell’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro, rendendo in questo modo più rapida la definizione del contenzioso sul licenziamento.
La disciplina della conciliazione nel caso di licenziamento illegittimo si rinviene all’art. 6 del Jobs Act che prevede che il datore di lavoro entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento – corrispondenti a 60 giorni – possa convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative indicate dal quarto comma dell’art. 2113 c.c. e dall’art. 76 del Decreto legislativo 276/2003 e offrirgli un assegno circolare di importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio, partendo da un minimo di 3 fino ad un massimo di 27 mensilità.
Questo indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.
Una volta avvenuta l’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore, si verifica l’estinzione del rapporto di lavoro a partire dalla data del licenziamento e la conseguente rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche se già posta in essere dal lavoratore.
L’art. 9 del Jobs Act prevede che la conciliazione possa essere applicata anche ai lavoratori assunti all’interno di imprese che non raggiungono le soglie dimensionali dell’art. 18 Legge 300/1970: in questo caso, però, l’assegno offerto al lavoratore risulta dimezzato e non può eccedere le 6 mensilità.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA E NASPI
Il lavoratore licenziato per giusta causa ha diritto al trattamento di disoccupazione erogato dall’INPS tramite l’erogazione dell’indennità Naspi?
Poiché il licenziamento per giusta causa costituisce una fattispecie di perdita involontaria del posto di lavoro, il lavoratore licenziato ha diritto alla corresponsione dell’indennità Naspi, purché possa fare valere almeno 13 settimane di contribuzione utile negli quattro anni antecedenti all’inizio del periodo di disoccupazione.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA E INVESTIGATORE PRIVATO
Il licenziamento per giusta causa, come già anticipato, può essere posto in essere in presenza di gravi inadempimenti che non consentono in alcun modo la prosecuzione del rapporto di lavoro, nemmeno destinando il lavoratore ad un’altra posizione lavorativa.
Tra i motivi ad oggetto del licenziamento per giusta causa possiamo trovare gravi inadempimenti o atti illeciti, tra i quali ad esempio la falsa malattia del Lavoratore, la violazione del patto di non concorrenza o la divulgazione di segreti aziendali.
Per l’accertamento di tali illeciti tramite l’attività di terzi – quali gli investigatori privati – la giurisprudenza si è spesso mostrata a favore.
E’ il caso della sentenza n. 30547 del 28 ottobre 2021 della Corte di Cassazione, la quale ha ammesso il licenziamento per giusta causa di un lavoratore per falsa malattia accertata dall’attività di un investigatore privato. Nel caso di specie la Corte ha stabilito che non sussiste, quindi, una violazione dell’art. 5 dello Statuto dei lavoratori, il quale vieta di svolgere attività di accertamento della malattia del lavoratore, se non tramite l’attività dei servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti. La Corte di Cassazione ha, infatti, ammesso l’attività di ispezione del investigatore sulla base del fatto che non si trattasse di un accertamento a fini sanitari, ma che si trattasse piuttosto di un accertamento volto a verificare che la malattia lamentata dal dipendente non fosse effettivamente incompatibile con l’attività lavorativa.
Occorre specificare che l’attività investigativa può essere realizzata esclusivamente al di fuori dell’orario e dei locali di lavoro.
A tal proposito, una recente sentenza della Corte di Cassazione del 24 agosto 2022 n. 25287 ha stabilito l’impossibilità di licenziare un lavoratore sottoposto ad attività di investigazione durante l’orario di lavoro, benché si trovasse all’infuori dei locali di lavoro. Le indagini non possono, infatti, riguardare l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligo lavorativo del lavoratore, ma possono limitarsi soltanto all’accertamento di atti illeciti, non riconducibili ad un inadempimento lavorativo. Viene stabilito illegittimo il licenziamento effettuato sulla base di ispezioni realizzate in violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, che prevede il divieto di effettuare riprese occulte durante l’orario di lavoro, e del principio di buona fede. Questo principio non esclude la possibilità di effettuare indagini durante l’orario di lavoro nel caso in cui sia necessario verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti.
[1] Cass. 24/7/03 n. 11516
[2] Cass. 19/1/1989 n. 244