Facciamo il punto della situazione tra “cura Italia” e decreto “rilancio”
La grave situazione economica che accompagna l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha indotto il legislatore ad introdurre una normativa volta, in primo luogo, a tutelare il Lavoratore dai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
Come noto, con il decreto cura Italia è fatto divieto ai datori di lavoro, «indipendentemente dal numero dei dipendenti», di «recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, numero 604» ovvero, ricorrendone i presupposti, di dare «avvio alle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, numero 223» per un periodo di sessanta giorni decorrenti dal 17 marzo, data di pubblicazione del decreto legge in Gazzetta Ufficiale, ovvero fino al 16 maggio.
In altre parole, non potranno essere intimati i licenziamenti individuali per ragioni inerenti all’attività produttiva o al regolare funzionamento della stessa. Rientrano in queste fattispecie, a titolo esemplificativo, i licenziamenti intimati per crisi economica, per riorganizzazione dell’impresa, per soppressione del posto di lavoro e per estarnalizzazione.
Nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo rientrano anche i cd. “licenziamenti plurimi” e cioè effettuati per più lavoratori, a cui non si applica la disciplina dei licenziamenti collettivi.
I Lavoratori potranno essere legittimamente licenziati, invece, per giusta causa (ovvero quando la condotta del lavoratore è così grave da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro) o per giustificato motivo soggettivo (licenziamenti sorretti da ragioni disciplinari). Non rientra nel periodo di sospensione, inoltre, il licenziamento per raggiungimento dell’età pensionabile per limiti di età o il licenziamento del lavoratore domestico. La cessazione del rapporto di lavoro per mancato superamento della prova deve essere considerata assolutamente legittimo, ma potrebbe incontrare dei limiti in relazione alla sospensione o riduzione delle attività lavorative per Covid-19.
Possono essere intimati, altresì, i licenziamenti per superamento del periodo di comporto. L’articolo 26 del Dl 18/2020, tuttavia, ha escluso dal calcolo dei giorni di malattia il periodo trascorso dai lavoratori privati in quarantena.
La violazione del divieto di licenziamento introdotto dalla normativa emergenziale comporterebbe la nullità dell’atto, in quanto posto in violazione di norma imperativa. Il Lavoratore, quindi, dovrebbe impugnare il licenziamento nel termine di 60 giorni dalla ricezione dell’atto e richiedere la tutela reintegratoria e risarcitoria piena.
Si precisa, inoltre, che nessuna sospensione vige per le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro e per le dimissioni volontarie e per giusta causa presentate dai lavoratori che rimangono, pertanto, pienamente legittime.La sospensione dei licenziamenti, così come sopra analizzata, era efficace fino allo scorso 16 maggio. Ad oggi, pertanto, nonostante le intenzioni del c.d. “decreto Rilancio” di prorogare la sospensione dei licenziamenti per “5 mesi”, ovvero fino al 17 agosto, non è più operativo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il ritardo nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge, infatti, non potrà che pregiudicare l’effetto della misura. Dallo scorso 17 maggio, invero, il datore di lavoro potrebbe legittimamente intimare il licenziamento del proprio dipendente anche per ragioni oggettive. Per essere efficace, tuttavia, il licenziamento, in quanto atto ricettizio, dovrebbe essere ricevuto dal destinatario entro la data di pubblicazione del Decreto Legge. Ad ogni modo, a parere dello scrivente, nonostante il ben noto divieto di irretroattività della legge, il Legislatore tenterà di riparare al “pasticcio” con un normativa che non potrà che creare problemi interpretativi agli operatori del diritto.
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